Vite disperse

Nel 1995 io ero un pischello di 19 anni, uscito dalle superiori di un comune in provincia di Milano, mi ero catapultato nella dimensione universitaria, di fatto troncando ogni rapporto con chi mi aveva conosciuto nel quinquennio del liceo linguistico. La linea di continuità con il mio passato erano sostanzialmente le persone con cui suonavo musica psichedelica e free jazz, e quelle con cui mi ritrovavo a giocare di ruolo una sera sì e l'altra anche.
Della politica fatta durante il periodo delle superiori rimanevano vaghe infarinature: slogan, cortei, una fumosa percezione di un coordinamento studentesco che aveva il suo epicentro a Milano e che a Paderno non se ne capiva un cazzo, la prima autogestione mai organizzata al Gadda, la sensazione di continua altalena tra delusione per gli esseri umani che mi circondavano e la speranza di trovare forme di vita diverse da quelle ordinarie.

La mia prima e unica interazione con i centri sociali risaliva all'inizio degli anni Novanta: Sara mi da' appuntamento al Leoncavallo ancora in via di ricostruzione dopo lo sgombero del 1989. Ricordo l'enorme scritta a Fausto e Iaio sopra l'ingresso, ricordo il capannone sporco e un bar nell'angolo a sinistra in fondo. Era estate, non so piu' che anno fosse, e ricordo che al centro del centro sociale ancora mezzo distrutto, in mezzo alle macerie sul fondo del capannone c'era una specie di fontanella ricavata da una pezzo di cemento con una sbarra infilata dentro a cui era appoggiata una canna dell'acqua.
Io non ne capivo un cazzo e mi sembrava solo un posto un po' delirante e in generale era obbligatorio difenderlo, almeno a me sembrava cosi', intuitivamente, senza capire bene neanche perche' difenderlo.
L'interazione successiva sarà solo il 10 settembre 1994, nel corteo che segnera' i rapporti di forza dei successivi dieci anni di movimento a Milano: diecimila persone in strada determinate a tutto. Io all'epoca non capivo un cazzo e mi sono perso i migliori scontri che avrei potuto vedere a Milano per molti anni.
Quando il corteo arriva in piazza Cavour io manco a dirlo mi porto davanti, curioso come un cretino di quello che stava succedendo. Mi ricordo solo un momento di silenzio, seguito da un mormorio che diventava rombo e poi ricordo l'odore dei lacrimogeni, qualcosa di nuovo per un diciottenne che non si era mai avventurato fino a quel punto in un corteo teso. Al massimo qualche ruolo da pseudo capopopolo in uno spezzoncino di un corteo studentesco, quattro grida al microfono e poco altro.
Dalla mia postazione sull'aiuola che sta proprio al centro di piazza Cavour (quella triangolare di quel semaforo incomprensibile al centro di quell'incrocio a 5 vie) vedo solo fumo, sento grida e vedo gente che parte di corsa. All'epoca non ero nelle condizioni di apprezzare tutto ciò, e il mio istinto mi fa correre a gambe levate in direzione di Palestro e poi verso Buenos Aires.
Non ricordo neanche che cosa pensai all'epoca di tutto ciò, ma ricordo che l'anno dopo il leoncavallo era già in via Watteau ed era una delle mete per passare le serate con gli amici che si facevano le canne e cospiravano rispetto a progetti musicali ed esistenziali.

Penso di essere uno dei pochi esempio in cui le posizioni politiche si sono andate radicalizzando nel corso degli anni, anziché sopirsi con la moderazione dell'età avanzata. All'alba dei 19 anni, al primo anno di università ero convinto che ci fossero parecchie cose da fare e politicamente disilluso rispetto alle dimensioni elettorali e non movimentiste, mentre quando avevo 10 anni ero forse poco più che un ragazzo agitato che vedeva nel PCI e nella FGCI una prospettiva politica radicale. Mi rendo conto che con il senno di poi è imbarazzante ma questo è quello che mi passava per il cervello all'epoca.

Durante il primo anno di università io e un po' di compagni di corso iniziamo a frequentare l'aula IV, non solo l'aula, ma anche quello che rimane del collettivo che l'aveva occupata nel 1995… Non molto a dire il vero, ma abbastanza per darci il brivido dell'autogestione.
Contemporaneamente con un po' di gente produciamo i primi demo di free form e una zine di scritti sempre molto free form e un po' freakkettona nichilista chiamata aleph, con tanto di esperimento di teasing per pubblicizzarla, e festa di lancio in aula IV.

Il nostro gruppo era dominato da due tendenze: la lettura dell'Internazionale Situazionista e la tesi dell'inesistenza delle cose oggettive. La teoria era un po' questa: ogni cosa è determinata dalla percezione soggettiva di chi la osserva o la vive, ergo non esistono descrizioni oggettive né tantomeno una realta noumenica in quanto tale. Tutto è percezione, tutto è interpretazoine, tutto è creazione.
Una posizione un po' "artistica" ma che raffinata si inserisce perfettamente nel postmodernismo che all'inizio degli anni Novanta muove i suoi primi passi sia nelle filosofie "di movimento" che negli ambiti artistici e culturali.

Con questa masnada di pazzi scriteriati a caccia di esperienze esistenziali organizziamo il primo vero evento autorganizzato della nostra storia: la festa di Aleph all'Aula IV. Con la Rover 113 (che poi finira' spalmata contro un palo a causa della maledizione di f.) vado a prendere le birre heiniken in lattina, a 40 all'ora per evitare di lasciare la marmitta per terra, mentre Luca, Andrea, Marco e un tot di altri vanno a prendere gli strumenti e allestiscono la sala.
Il palco sono quattro bancali buttati per terra, le luci due lampade di quelle gialle/rosse/verde che si trovano al mercato da mettere come pesudo discoteca nella taverna dei nonni. C'e' un bordello di gente, totalmente inaspettata, centinaia di persone che si sorbiscono un'ora e mezza di free form stridente inaugurata e conclusa con l'unico pezzo strutturato del gruppo (all'epoca non ricordo se ci chiamavamo ancora Green Sunflower o gia' Embryonaler Schwamm) dall'altisonante nome di Beer Milkshake.
La gente parla, fuma, chiacchera, invade l'università mentre io e qualcun altro responsabili della serata ci facciamo beffe del bidello che non sa che pesci pigliare. Alle 2 di notte chiudiamo, il bar ha finito la birra, abbiamo recuperato i soldi e anche pagato la stampa di Aleph, e forse anche messo via qualche soldo che poi finirà chissà dove.

Ed è in quest'anno che entro in contatto con i contenuti che domineranno la prima parte della mia esperienza politica: la psichedelia, i testi di Terence McKenna, il Cyberpunk, i testi della Shake, di Gibson, le TAZ di Hakim Bey, la rilettura dell'Internazionale Situazionista, Altrove, la Nautilus, il fenomeno della musica elettronica. Un percorso in cui si incontravano all'epoca molte persone che poi avresti ritrovato in molti percorsi.
Ed è nel 1995 e forse in parte del 1996 che passiamo le nostre serate al Leo, nel cortile, isolati in un angolo a complottare e rimuginare su tutti i progetti che si stavano costruendo, su una fase esistenziale che di lì si sarebbe trasformata nella piena fase di sperimentazione politica. Un gruppo di persone che con la politica dei centri sociali non c'avevano mai avuto a che fare, ma che raccoglievano la logica della sperimentazione di nuove forme di vita e di socialità come una boccata d'aria fresca di fronte alla prospettiva di una vita ordinaria.

Nel 1995 l'alternativa alle serate al Leo erano le serate al Tunnel, un concerto via l'altro a 10 euro all'anno. Una svolta. Il posto non era il massimo pero' sicuramente offriva qualche possibilita' prima di diventare un covo di security e rotture di cazzo, una volta imitato da Binario Zero e un paio di altri locali, che si bruciano la piazza l'un l'altro.
Nell'antro scuro e fumoso di via Sammartini sotto i binari della stazione, mentre gli altri bevono birra e io una coca cola (erano gia' diversi anni che non bevevo alcool per una specie di decisione che ormai si perdeva nella mia adolescenza e che forse non aveva altri motivi della mania di essere sempre in controllo della situazione), incontriamo il flyerino che ci lancia in mezzo a quella che sarà forse la prima svolta decisiva della mia esperienza e dell'esperienza di quegli amici che condividevano quella fase di avanscoperta del mondo sociale e politico con me: non ricordo se me lo diede Pablo, un ragazzo che conoscevamo dall'auletta in Statale oppure qualcun altro. Fatto sta che era quello che a Milano tutti quelli come noi aspettavano: un rave illegale.