Raving

Penso fosse una notte di ottobre o di novembre, quando io, Luca, Robbo e non mi ricordo chi ci dirigiamo verso Segrate, lungo la nebbiosa cassanese, una trappola per automobilisti come solo tra le strade che da milano portano alla provincia si può trovare.

Le letture postmoderne e libertarie, la psichedelia ci aveva portato tutti inevitabilmente a vedere la creazione di zone autonome e libere come l'unica cosa che politicamente avesse un valore rivoluzionario. Le nostre teorie imperniate sul soggetto e sulla inesistenza di una dimensione oggettiva trasformavano l'esperienza nomadica e l'esperienza del rave in una dimensione perfetta in cui ogni soggetto poteva liberamente percepire e vivere una esperienza unica e libera, non riconducibile a nient'altro se non la sua volontà di essere irriducibile alla realtà oggettiva.

In una sera di un sabato di ottobre o di novembre, in ogni caso approdiamo a via Rombon, al meeting point di quello che a tutti gli effetti (se si esclude il mitico show dei Mutoids di qualche anno prima) era il primo illegale milanese, l'approdo nella fredda metropoli di una pratica che qui gia' aveva chi era pronto per accoglierla e coltivarla.
In via Rombon davanti ai mercati generali ci sono alcune delle persone che scandiranno i miei passaggi negli anni successivi: da Pablo dal naso lungo e dritto e la parlata biascicata e un po' fantasiosa nei termini giovanilisti, a Beppe , grande, grosso, matematico e definitivamente pazzo.
Da li' ci spostiamo alle lavanderie, poco oltre nella nebbia della Cassanese, dove in un capannone sulla sinistra della strada ci aspetta uno scenario meno imponente dei technival ma molto più glorioso: era un pezzo di storia in cui potevamo partecipare anche noi.
Io di quella notte ricordo solo il salone principale, la techno, il fuoco in cortile, f. e d. con cui chiaccherare del significato di quell'evento e di quello che ne sarebbe potuto derivare. Un evento ludico della cui portata politica però molte persone tra quelle che lo avevano organizzato e quelli che ne avrebbero voluti organizzare altri erano pienamente consapevoli, alla luce tremula del fuoco fatto di bancali e altre schifezze in cortile.
Era il primo rave di quello che si sarebbe poi chiamato AntiMuzakFront (o forse ci chiamammo cosi' solo dopo l'ultimo rave illegale che facemmo, mentre prima eravamo senza nome, ma con una determinazione e un desiderio inarrestabile.

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Qualche mese dopo siamo al leoncavallo, davanti al bar centrale in una fumosissima e neanche troppo fredda serata, un paio di decine di persone per organizzare il successivo rave. Sembra una riunione carbonara, per me e gli altri una sorta di battesimo del fuoco organizzativo. Non sappiamo suonare techno, non sappiamo occupare un posto, ma di certo possiamo inventarci un modo per allestire lo spazio: finiamo ad occuparci degli allestimenti.
Le seguenti settimane le passiamo a preparare diapositive modificate al proiettore, sperimentando con fiamme, liquidi chimici, colori, e immagini provenienti da scorte di diapositive arrivate da chissa' dove. Intanto recuperiamo segnali stradali, teli di plastica arancioni dai cantieri. Ogni sera era un esperienza a metà tra l'esilarante e l'adrenalina pura, in giro per le strade di Milano a tuffarsi in ogni buco della strada a recuperare pezzi suggestivi dell'arredo urbano… Un tubo, un pezzo di plastica, dei fili, dei segnali, delle corde, degli oggetti strani ma senza alcuna funzione apparente.

La sera del party siamo tutti in adrenalina pura. Il gruppo che entra per primo per aprire i cancelli viene quasi sgamato, e per un momento sembra saltare tutto. Poi arriva il segnale e ci portiamo lungo la strada buttandoci dentro la fabbrica abbandonata davanti al casello di Rho.
E' una cattedrale nel deserto, una struttura in cemento con una facciata e il tetto di lastre di vetro incorniciato da acciaio. Davanti all'edificio principale c'e' un piccolo cortile e sulla sinistra un capannone più piccolo che da anche sulla palazzina uffici a un piano solo, dentro la quale facciamo la cassa per la sottoscrizione.
Montiamo tutto, costruendo precarie pareti di celophan e improvvisati lampadari di arredo urbano, poi io mi piazzo sul tetto di una delle navate laterali della cattedrale industriale, in mano due proiettori per diapositive, e passo tutta la sera a cambiare diapo e direzionarle in varie zone della sala. Una sorta di tecnico luci privo di qualsiasi competenza ma dotato di parecchio entusiasmo.

Quando arriva la luce del mattino siamo stravolti ma non c'e' dubbio che anche questo rave sia stato una figata micidiale, e per me e gli altri del mio gruppetto di amici anche un'esperienza unica di autorganizzazione. Per la prima volta avevamo contribuito direttamente a rendere realtà il sogno di TAZ che tanto avevamo immaginato. Il salto dalla teoria alla pratica è un'esperienza inebriante, che ci lascia affamati di maggiori esperienze e di più profondi turbamenti della quiete (pubblica o privata)

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Per tutta l'estate 1996 io, Luca, Piria, Fabio, Robbo e altri giriamo in interrail passando per almeno due technival (Rotterdam e Millau) e un numero imprecisato di altri posti, compresa l'esperienza psichedelica nelle highlands culminata nella pisciata collettiva nel vuoto al di sotto di una cima ricoperta di strani muschi rossi particolarmente amata dai miei soci in lsd.
Al teknival di Rotterdam ci arriviamo via mare partendo da Londra: spavaldi partiamo senza manco un sacco a pelo pensando che tanto era agosto e faceva caldo. La notte passata a barbellare dal freddo accartocciati in mezzo ai profilattici di un castello di legno per bambini in un parco della città olandese ci ha fatto capire quanto eravamo rincoglioniti. In compenso incocciamo su una carovana di traveler inglesi che sono stati la nostra personale versione techno della fata turchina: un furgone, the caldo e anche una tenda di cerata in prestito dove rifugiarsi nelle ore che non passavamo a ballare o a fare baldoria sulla riva del canale che costeggia la e199.
Da li' ci siamo spostati nel sud della francia, sperando di trovare un clima piu' mite e in effetti i 40 gradi dello spiazzo erboso nei pressi di Millau era decisamente meno suggestivo ma anche meno ostile di Rotterdam.
In entrambi i technival la scena era simile: tende e furgoni dappertutto migliaia di watt e proiezioni che ti stordivano la retina e i timpani, in una specie di rito tribale enorme e inarrestabile, ritmici colpi di cassa che ti ipnotizzavano e ti portavano da soli a uno stato di coscienza non ordinario, in cui alcune cose erano molto più nitide mentre altre si perdevano nei meandri della parte del tuo cervello più evoluta.

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Quando torniamo dall'inter-rail hanno sgomberato Mandragora, una casa occupata in piazza Aspromonte. Di fronte alla casa murata c'e' un campeggio permanente, e le serate passano a fare assemblea o a cercare altri concerti da andare a vedere, un misto tra le prime esperienze di movimento e il desiderio di continuare la vita di tutti i giorni.
Non mi ricordo quanto tempo passa prima che reincontro f. per caso a cascina monlué, anzi per la precisione disperso per le vie laterali di CAMM alla ricerca della mia macchina. Tra una frase e l'altra, carpisco qualcosa di rilevante che mi stampo nel cervello.
– Come butta?
– Tutto bene.
– Ma vi siete ribeccati?
– Più o meno
– E diocane potevate anche chiamarmi…
– Guarda se tutto va bene occupiamo
– Beh fammi sapere che ci vengo anche io…

F. non sapeva che aveva scritto la sua condanna a reincontrarmi per il resto dei dieci anni successivi. Forse non me lo avrebbe neanche accennato se lo avesse saputo.
Qualche mese più tardi, quando leggo del primo parti di un nuovo spazio occupato, ha inizio una fase completamente nuova della mia vita, mentre mi tuffo dalle prime esperienze esistenziali in una esperienza politica a tutto tondo.
Era il maggio del 1997